Nelle condizioni attuali sembra emergere la volontà di ripensare i modelli abitativi come il risultato di un processo di natura complessa, che si nutre di un continuo scambio con l’ambiente esterno, partecipato e interdisciplinare, il cui esito dipende dalla capacità dei soggetti coinvolti di organizzarsi.
Il cohousing, come modello di abitare innovativo, ha avuto molta fortuna in Europa e in Italia stanno aumentando curiosità e richieste. Il periodo di pandemia ha riattivato forme di scambio solidale, collaborazione tra vicini che ne hanno mostrato la forza e la bellezza. I normali scambi tra condomini raramente inducono a pensare a qualcosa che vada al di là del proprio particolare, ma quando si accenna a un progetto fuori dall’ordinario, che stimola l’immaginazione, che prevede vantaggi di ampio respiro, emergono i caratteri distintivi di una comunità.
“In una visione organica dello sviluppo sostenibile non è possibile scindere la sostenibilità ambientale dalla sostenibilità sociale: a un ecobonus per la rigenerazione del patrimonio materiale dovrebbe corrispondere un ecobonus per la rigenerazione del patrimonio sociale”, sostiene Mario Spada, urbanista romano.
In un momento in cui il governo propone e mette in campo finanziamenti per ristrutturare il patrimonio edilizio si può infatti puntare allo sviluppo della sperimentazione di nuovi modelli abitativi senza peraltro aumentare il consumo di suolo. Nessuna nuova costruzione, ma rigenerazione del patrimonio immobiliare esistente ancorata a processi di rigenerazione sociale.
Homers esplora e propone edifici esistenti, inutilizzati e con peculiarità architettoniche – ex fabbriche di cioccolato, ex conventi, ex officine – tutte spazialità con molte potenzialità per innovare i modelli abitativi, adeguarsi alle nuove forme di vita e ampliare l’applicazione del cohousing nel nostro paese.