Saito-san è una donna anziana che vive all’interno del carcere femminile di Tochigi, in Giappone, è vedova e madre di due figli: a differenza di quello che può sembrare non sta scontando l’ergastolo, ha scelto consapevolmente di commettere un crimine in età avanzata dato che la sua pensione non era in grado di sostentarla.
Non è un fenomeno isolato: in Giappone i crimini commessi da ultrasessantacinquenni è quadruplicato negli ultimi vent’anni.
Molti di questi detenuti prima vivevano da soli.
A circa 10.000 chilometri da lì, invece, Brittany è una ragazza di quasi trent’anni che, non trovando lavoro nel settore per quale ha studiato, ha scelto di essere “un’amica in affitto”: negli Stati Uniti l’app Rent-a-friend permette infatti di affittare un’amica o un amico in base alle necessità.
Cos’hanno in comune questi due esempi?
Entrambi ci raccontano due facce della stessa medaglia: a tutte le latitudini, ci sentiamo soli.
Queste storie sono solo due di quelle che potete trovare all’interno del saggio Il secolo della solitudine1 di Noreena Hertz, un’opera dalla quale emerge con evidente urgenza come la solitudine sia diventata il tasto dolente della contemporaneità, ancora di più grazie alla pandemia.
Cohousing e comunità come possibile strada
Noreena Hertz vede, tra le possibili strade che possono aiutarci a superare questo impasse, quella di creare comunità eterogenee – come ad esempio i cohousing: ma non basta creare la comunità, bisogna fare in modo che le persone che ne fanno parte la esercitino.
Per usare le parole di Chev Avni, il carismatico fondatore di Venn, un gestore di co-living israeliano, “se la costruiamo noi, verranno. Ma se se la costruiscono loro, resteranno”.
A parlare invece esplicitamente di cohousing come di una valida alternativa alla solitudine imposta dalla società è invece Judith Shulevitz, critica culturale newyorkese, in un saggio breve sul New York Times2 che si focalizza sulle famiglie con figli, non tralasciando però di menzionare moltre altre categorie di persone che ne potrebbero beneficiare.
Intervistando alcuni abitanti di cohousing a New York si è resa infatti conto che questo tipo di comunità attrae principalmente introversi ed, essendo lei stessa un’introversa, ne comprende appieno la logica: sono le persone che hanno più difficoltà a crearsi una comunità che ne sono maggiormente attratti.
Il cohousing diventa quindi un’alternativa in questo panorama individualistico e materialista per poter riscoprire i valori della collaborazione e dell’altruismo, celebrando il singolo non come atomo isolato, ma come parte integrante della comunità.
FONTI
1 Noreena Hertz, Il secolo della solitudine, Il Saggiatore, 2020
2 Judith Schulevitz, Does Co-Housing provide a path to happiness for modern parents? – New York Times, Oct. 22, 2021